Il nome del progetto – “Terra della Vicciuta” – è intrigante quanto la finalità, ovvero riscoprire e ridare vita a varietà di vitigni autoctoni umbri (in particolare della zona dell’alto Orvietano) da poter reimpiegare successivamente per lo sviluppo del settore vitivinicolo.
A portarlo avanti un gruppo di ricercatori del “CRA” (Unità di ricerca per la viticoltura) di Arezzo in collaborazione con l’università di Perugia e alcune aziende agricole interessate allo sviluppo delle produzioni in chiave molto localistica, sviluppo fondato sull’innovazione capace di generare ritorni sia in termini di vendita che – perché no – di flussi turistici. “È un progetto importantissimo per il territorio, per la coltura della vite, per la sperimentazione. Inoltre, è altrettanto importante per dare un senso al lavoro in agricoltura. Non più solo produzioni di massa e industrializzate, ma ricerca puntuale e precisa di vecchi biotipi che magari in futuro potranno essere sviluppati sia in termini turistici che commerciali”, ha affermato Paolo Bolla, titolare di una delle aziende promotrici.
E i risultati ottenuti dai ricercatori gli danno ragione, in quanto, passando al setaccio diverse zone boschive della bassa Umbria e dell’alto Orvietano, sono state recuperate 38 varietà di vitigni sei dei quali, dopo un certosino lavoro di mappatura genetica, sono risultati sconosciuti. D’altronde anche il termine “Vicciuta” resta perlopiù sconosciuto, poiché non è ancora chiaro se si riferisca a un antico sistema di coltivazione oppure a una vite specifica. Di sicuro “il termine risulta per la prima volta nello Statuto della città di Orvieto del 1581”, ha spiegato Luciano Giacchè, professore di antropologia alimentare all’università degli studi di Perugia.
Adesso si spalancano le porte per una ricerca più assidua, tesa a mettere in produzione proprio alcuni di questi vitigni autoctoni rimasti ignoti, la cui coltivazione è andata perduta nel corso dei secoli. Un progetto stimolante che potrebbe condurre a risultati commerciali degni di nota. Già l’Umbria, infatti, è famosa per alcuni suoi vini caratteristici (su tutti il Sagrantino di Montefalco), ma ora l’idea di poterne aggiungere degli altri, della cui esistenza ci si è dimenticati col passare delle generazioni, stuzzica davvero la fantasia. A maggior ragione quella di imprenditori agricoli votati alla promozione dei prodotti tipici locali.